fare il burro come una volta
Visita il museo del pane di Pellegrino P.se
GUIDA SULLE FARINE
Presente in moltissime delle nostre ricette, immancabile per pasta, pane e prodotti da forno, la farina è uno degli ingredienti che non mancano mai nella nostra cucina.
Ma la farina che cos'è? E come districarsi tra tutti i tipi di farine che si sentono consigliare in varie preparazioni? E ancora, quale scegliere al supermercato?
La farina a cui noi occidentali ci riferiamo più spesso è la farina di grano o frumento, anche chiamato tritico, antichissimo cereale da millenni coltivato in tutto il mondo, tranne che nelle aree a clima tropicale. Questo cereale, appartenente alla famiglia delle Graminacee, si presenta sotto forma di spighe composte, i cui frutti, cariossidi, vengono macinati per produrre farina.
La farina di grano contiene due proteine, la gliadina e la glutenina, che quando entrano in contatto con l'acqua fanno reazione e formano il glutine, una proteina complessa, il quale permette di avere un impasto elastico e compatto che favorisce la lievitazione.
Come ben si sa, ci sono soggetti che soffrono di celiachia e sono intolleranti al glutine, non possono quindi consumare nessun cibo contenente farina di grano o altre farine che contengono questa proteina.
I tipi di farina di grano e i rispettivi utilizzi A seconda della parte di grano che viene macinata, e non solo, si possono ottenere diversi tipi di farine, usate per scopi diversi: farina 00, o fior di farina: derivata dalla prima macinazione dell'endocarpo, la parte più interna del seme del grano. E' molto bianca poiché non contiene né semola né crusca (ovvero la pellicola che ricopre il seme) è povera di sali minerali, vitamine e fibre, ma ha quasi esclusivamente amido e proteine. Viene usata per pasta fresca o pasta all'uovo, dolci, besciamella. farina 0: farina di prima scelta, contiene molto amido e poche proteine, ha più glutine rispetto alla farina 00. Viene usata per pane. farina 1 e farina 2: meno bianche poiché più ricche di crusca. Vengono usate per pane e pizza. farina integrale: prodotta dalla macinazione di tutto il germe, compresa la crusca esterna. E' per questo più completa a livello nutrizionale ed è facile da digerire, ma assume un colore scuro. Viene usata per pane, brioches. farina di grano duro: una varietà diversa di grano, viene usata per per pasta. farina di grano tenero: una varietà diversa di grano, viene usata per pane e dolci. farina di semola: ottenuta dalla macinazione del grano duro, ha una grana non fine, ma grossolana, di colore giallo ambrato. Viene usata per pane, pasta, dolci tipici. farina di semola rimacinata: viene usata per pane, soprattutto quello tipico del sud Italia, come il pane pugliese di Altamura. farina di manitoba: ottenuta dal grano tenero, prende questo nome dall'omonima provincia del Canada in cui era inizialmente molto diffusa la coltivazione. E' un farina speciale, una farina forte, adatta ad impasti molto più compatti, spesso utilizzata in Usa o in ricette americane. Viene usata per baguette francese, panettone, pandoro, colomba pasquale, pizza, chapati indiano (pane tipico). Fai clic qui per effettuare modifiche.
|
|
Indicatore W: la forza della farina
Nella scelta e acquisto della farina un'altra proprietà che è meglio conoscere e di cui dobbiamo tenere conto è la cosiddetta forza della farina, o fattore di panificabilità, la quale è legata al contenuto di proteine e il cui simbolo indicatore è W. Più questo fattore è elevato e migliore sarà la panificazione, poiché le farine forti assorbono più acqua, rendendo resistente l'impasto, che permetterà quindi una maggiore lievitazione, evitando lo sgonfiamento.
Ecco indicativamente le proprietà W delle farine e quando utilizzarle:
- fino a 170W deboli: per biscotti, cialde, grissini, dolci friabili
- da 180W a 260W medie: per pane francese, pane all'olio, pizza, pasta
- da 280W a 350W forti: pizza, pasta all'uovo, babà, brioches, dolci alunga lievitazione
- oltre 350W farine speciali: si miscelano ad altre farine più deboli per dolci
Purtroppo questo valore è raramente indicato sulle confezioni di farina nei nostri supermercati, ma sappiate che quelle in commercio in Italia vanno solitamente dai 150W ai 200W.
TRATTAMENTI TERMICI DEL LATTE
Il latte UHT e il latte sterilizzato
Il latte pastorizzato è molto diverso dal latte UHT o a lunga conservazione (3 mesi data confezionamento) per non parlare del latte sterilizzato (6 mesi data confezionamento): in questo caso, le differenze sensoriali e nutrizionali sono assai rilevanti (in peggio), a tutto vantaggio del latte pastorizzato e, anche se di meno, del latte UHT.
Il latte sterilizzato (segue sempre la dicitura standard "a lunga conservazione"), a parte lo sgradevole aroma di "cotto", ha veramente poco di nutritivo. Rispetto al latte UHT il cui trattamento è sul prodotto prima del confezionamento, il latte sterilizzato subisce successivamente un'ulteriore risanamento termico ad alta temperatura (120 °C circa) e per un intervallo lungo (20 minuti) eseguito sul contenitore. C'è anche da dire che, fortunatamente, nei paesi occidentali la commercializzazione di latte sterilizzato è assai rara.
Il latte UHT, invece, ha l'intera flora batterica (anche quella positiva purtroppo, a differenza del latte pastorizzato) distrutta e la gran parte dei nutrienti conservata.
OMOGENEIZZAZIONE Durante il processo di pastorizzazione o sterilizzazione, il latte può essere omogeneizzato. L'omogenizzazione è un procedimento quasi universalmente utilizzato dalle centrali di trattamento in particolare per evitare l'affioramento del grasso del latte alimentare. Il latte viene fatto passare sotto alta pressione attraverso una particolare valvola (omogeneizzatrice) in grado di ridurre tutti i globuli di grasso in particelle di diametro quasi uniforme 20 volte minore che nel latte crudo, costituendo così un'emulsione stabile, ed evitando problemi di affioramento nel tempo di conservazione. Il prodotto diventa più facilmente digeribile per il consumatore, al quale è garantita uguale percentuale di grasso nel periodo di consumo.
Pastorizzazione
Grazie alle scoperte del chimico francese Louis Pasteur, riguardanti l'uccisione delle brucelle col calore, si suole oggi pastorizzare ovvero riscaldare il latte a temperature capaci di uccidere i microbi patogeni e gran parte della microflora saprofita (banale). Il trattamento riduce notevolmente la carica batterica, causando minime variazioni organolettiche e nutrizionali, compensate largamente dalle condizioni di sicurezza igienica.
Tutti i trattamenti si concludono con il raffreddamento a 4 °C: a questa temperatura il latte fresco si conserva per 6 giorni, attraverso la catena del freddo (camion frigoriferi per la distribuzione in città, banco frigorifero del lattaio, e finalmente il frigorifero di casa).
Pastorizzazione bassa
Questo trattamento, ormai desueto, si applica oggi solo in presenza di latte a minimo rischio di contaminazione, che viene portato a 63 °C per un periodo di 30 minuti. L'evoluzione genetica di taluni batteri però rende comunque assai poco efficace il trattamento per usi di alimentazione diretta.
Pastorizzazione rapida HTST (High Temperature Short Time)
Il latte, a seguito di preriscaldamento, è portato velocemente a una temperatura minima di 72 °C per almeno 15 secondi. Tale pastorizzazione è resa possibile tramite una riduzione in strato sottile del latte che viene fatto passare tra piastre riscaldate (stassanizzazione). La stassanizzazione sfrutta altresì il fenomeno che vede le cellule batteriche attratte verso la superficie della piastra di scambio termico: ciò provoca un moto turbolento del liquido che garantisce uno scambio termico efficiente e uniforme. Questa temperatura uccide circa il 96% dei batteri (di primaria importanza è l'abbattimento della carica batterica rappresentata dalle forme vegetative dei micobatteri della tubercolosi e batteri della brucellosi, oltre ad altri patogeni importanti), mentre resta un 5% costituito dalle spore, cioè da batteri che si sono trasformati in una forma molto resistente al calore. Per rallentare la crescita dei batteri rimasti, il latte viene subito raffreddato a 4 °C. [senza fonte] Il latte pastorizzato può essere conservato a 4 °C per sei giorni. Il latte che ha subito tale trattamento può definirsi "fresco" e deve risultare "fosfatasi negativo" e "perossidasi positivo", a dimostrazione oggettiva che il trattamento termico è stato fatto a una temperatura non inferiore a 72 °C e non superiore a 78 °C per 15 secondi (sopra il livello di distruzione dei patogeni e non surriscaldato).
Trattamento UHT (Ultra High Temperature)
È una particolare tecnica di sterilizzazione che consiste nel trattare il latte omogeneizzato e preriscaldato ad almeno 135 °C attraverso l'impiego di vapore acqueo surriscaldato per non meno di un secondo. Si parla di UHT a sistema "indiretto" quando la sterilizzazione del latte avviene tramite scambiatori di calore (piastre o tubi), mentre viene detto UHT "diretto" (Uperizzazione TM°) quando la sterilizzazione del latte avviene in contatto diretto con il fluido riscaldante cioè il vapore acqueo, che viene rievaporato nella successiva fase di raffreddamento flash sotto vuoto. In genere il trattamento diretto (circa 140 °C per 2-4 secondi) dà luogo a un prodotto organoletticamente migliore del trattamento indiretto per un minore "effetto termico". Successivamente si raffredda il latte a 15-20 °C e si procede entro impianti sterili chiusi, in flusso continuo, al confezionamento asettico del latte in contenitori sterilizzati in linea (brik, bottiglie in HDPE o PET) che vengono chiusi ermeticamente. La condizione di ermeticità del contenitore è condizione essenziale della lunga conservazione.
Anche il trattamento UHT non garantisce la distruzione delle spore più resistenti: la sterilità commerciale viene definita come "assenza di microorganismi capaci di riprodursi e recare danni al prodotto nelle usuali condizioni di conservazione a temperatura ambiente" (stabilità microbiologica). Il latte UHT è considerato a "lunga conservazione" e si può conservare per circa 3-6 mesi a temperatura ambiente. Le confezioni dei vari tipi di latte sterilizzato UHT devono riportare il termine minimo di conservazione "da consumarsi preferibilmente entro..." (giorno, mese, anno). Ciò significa che anche dopo la data di scadenza, per un tempo ragionevole, il prodotto possa essere consumato (riguarda più un limite organolettico che sanitario)
Sterilizzazione
È il trattamento termico più energico, che assicura la completa eliminazione di tutti i batteri, anche delle spore. Il latte così sterilizzato ha una lunga conservazione a temperatura ambiente, anche oltre i 6 mesi. Il processo è costituito da un trattamento flash, seguito da riempimento e sigillazione del contenitore (vetro-lattina) con susseguente sterilizzazione in autoclave (continua o discontinua) del contenitore chiuso. Tuttavia, una volta che si è aperto un contenitore di latte sterilizzato (al pari dell'UHT) è necessario tenerlo in frigorifero e consumarlo entro pochi giorni; infatti potrebbe venire a contatto con i microrganismi presenti nell'ambiente, i quali all'interno dell'alimento non troverebbero alcuna competizione con altri batteri e sarebbero liberi di proliferare.
Il latte sterilizzato è rilevantemente più sicuro del latte UHT dal punto di vista batteriologico, ma ha subito un danno organolettico oggi non più accettato nella maggioranza dei casi, rispetto al latte UHT. Tale latte ha avuto il merito di rendere disponibile l'assunzione di un alimento così importante a fasce di popolazione vaste, allora poco raggiungibili dal "latte fresco". Dal punto di vista commerciale ha ormai una scarsa rilevanza poiché, oltre ai contenuti nutrizionali, anche il sapore risulta piuttosto alterato: è quindi principalmente destinato all'esportazione in paesi con condizioni sociali e climatiche difficili.
Microfiltrazione
La microfiltrazione del latte è un trattamento puramente meccanico, con filtrazione molto sottile attraverso membrane ceramiche a maglie di 1-2,5 micron: questa filtrazione, in grado di separare fisicamente i microbi dal latte, viene praticata sulla sola frazione magra del latte senza interagire con le componenti nutritive in esso contenute.
Si separa la frazione lipidica del latte con la tradizionale centrifugazione a circa 50 °C. La frazione grassa (lipidica) non può essere sottoposta a microfiltrazione avendo i globuli di grasso dimensioni simili alle maglie della membrana filtrante. Il latte scremato, separato dalla panna, viene microfiltrato su membrana porosa eliminando la quasi totalità della flora microbica che ha inquinato il latte dopo l'uscita della mammella nell'ambiente di mungitura.
Le due frazioni, panna e latte magro microfiltrato, vengono poi miscelate in flusso continuo in rapporto tale da ottenere il titolo di grasso desiderato. Il latte titolato (intero, parzialmente scremato, scremato), a carica batterica estremamente ridotta, simile al momento di uscita dal capezzolo della mammella, viene pastorizzato a 72-75 °C per 15-20 secondi con il metodo di pastorizzazione classico HTST, che consente l'inattivazione di eventuali specie microbiche patogene residuali.
Si ottiene così un latte con caratteristiche microbiologiche eccellenti che ne consentono la conservazione in regime refrigerato per tempi lunghi, oltre 15 giorni dal trattamento, e con caratteristiche organolettiche ottimali, perfettamente sovrapponibili a un latte pastorizzato di qualità elevata.[23]